giovedì 4 giugno 2015

La Buona Scuola o una Scuola alla Buona?


In merito alla riforma della scuola, il Governo ha risposto alle critiche, alle dimostrazioni di malumore e alle proposte del parco docenti, degli studenti, dei genitori e delle forze sociali con un pot-pourri di insensibilità e talune volte arroganza.

Bisognerebbe invece, a mio avviso, preferire la via dell'ascolto reale e sincero delle parti coinvolte e sconvolte da questo progetto di riforma e magari tarare la riforma stessa non sul brevissimo periodo ma utilizzare l’ausilio di un piano pluriennale che avrebbe consentito di ordinare meglio tutte le pedine nelle giuste caselle e con tempi fisiologici. Fare questo sarebbe rispettoso per chi da settimane è mobilitato a proprie spese (in tutti i sensi) per difendere, non solo gli interessi di una qualche categoria, ma del Paese intero. Sarebbe oltretutto necessario perchè, se è vero che a parole tutti vogliono valorizzare il ruolo degli insegnanti, capita poi troppo spesso che i politici, categoria di cui facciamo parte a livello locale, li oltraggino. Sarebbe infine anche un modo per dire e ricordare a tutti che la scuola è da anni oggetto di riforme che l'hanno resa più povera, più fragile, meno pubblica, meno uguale.

Noi rappresentiamo la nazione e i cittadini a livello locale e i concetti di nazione e cittadinanza iniziano proprio a scuola e dalla scuola.

Prendo atto invece a malincuore del fatto che chi governa questo Paese sta cambiando le regole del mondo dell’istruzione senza ascoltare chi sta ogni giorno in classe o gravita attorno all'ambiente scolastico. Si vede che il livello di governo nazionale non ha ben compreso che, ignorando una reazione contraria di tale portata (penso anche allo sciopero del 5 maggio e al boicottaggio dei test invalsi) e così trasversale (pensiamo che ha messo d’accordo insegnanti di ruolo, famiglie, alunni, forze sindacati, minoranze parlamentari ed anche buona parte stessa dei precari), rischia NON di fare la riforma della scuola, ma una riforma CONTRO la scuola.

Imperterriti si decide invece di andare avanti come il capitano Edward Smith, il capitano del Titanic, di fronte alla “grande donna bianca”, l'iceberg, destinati solamente a scontrarsi con la disgregazione lenta e inesorabile della scuola pubblica italiana.

Ho seguito con attenzione l’iter del DDL alla Camera e devo dire che, nonostante i miglioramenti apportati in commissione, l'impianto generale della riforma, già approvata dal primo ramo del Parlamento, resta per me assolutamente non condivisibile sostanzialmente perché mina alle basi la possibilità di rendere il sistema di formazione pubblico davvero universale, moderno, che guardi e sia rivolto davvero a tutti.

Sono tre gli aspetti particolarmente incriminati di questo indebolimento della scuola pubblica così come risultanti dal DDL:
  1. Il potere di chiamata diretta degli insegnanti attribuito al dirigente scolastico
  2. Il meccanismo di valutazione dei docenti
  3. L’introduzione non regolamentata dei finanziamenti privati
Tutti i precedenti punti vedono alla base alcuni preoccupanti comuni denominatori:
  1. La volontà di premiare l’arbitrio del dirigente scolastico di turno e non certo il merito del personale scuola
  2. L’incastonamento dell’istruzione pubblica generale in un quadro in cui si avalla e si incoraggia l’esistenza di scuole di serie A, generalmente frequentate dai figli di una certa classe e ceto sociale e dislocate in punti precisi del territorio nazionale e scuole di serie B, generalmente frequentate dai figli di un ceto sociale meno abbiente e localizzate nelle zone più povere del Paese (e non mi riferisco solo al Sud). Il tutto in barba a moltissimi principi enunciati dalla Carta Costituzionale.
E a ciò si aggiunge, ultimo ma non meno importante,
  1. l'esclusione da qualsiasi percorso di stabilizzazione di decine di migliaia di precari abilitati che da anni prestano il loro servizio nella scuola pubblica (e la cui assunzione a tempo indeterminato al superamento del 36° mese di servizio sarebbe imposta da una sentenza della Corte di Giustizia Europea)
  2. la parallela assunzione di altrettanti docenti secondo regole che di fatto mascherano da stabilizzazione una vera e propria precarizzazione del loro futuro (tant’è vero che anche molti dei potenziali assunti iniziano a domandarsi se non sia meglio rimanere precari). Il meccanismo pare somigliare, in ambito pubblico, a ciò che stà alla base del jobs act: si spaccia per stabilizzazione dei precari con un contratto a tutele crescenti ciò che in realtà risulta un depauperamento dei diritti sui futuri contratti a tempo indeterminato se paragonati a quelli attuali.
Tra le situazioni che generano tale precarizzazione di fatto cito ad esempio:
  • La perdita di titolarità sulla cattedra che si occuperà
  • La possibilità CONCRETA di essere costretti a trasferirsi su altre materie, mai insegnate, a causa di suddetta perdita di titolarità a meno che non si riesca a trovare un dirigente, per così dire, “compiacente”
  • L’entrata nei famigerati “albi territoriali” con la conseguente perdita di tutte le precedenze maturate nel corso di anni e anni di insegnamento, spesso lontano da casa, ed a costo di notevoli sacrifici
  • Il rischio, specie per chi occupa posizioni più basse delle GAE, di essere “spediti” lontano dalla provincia di iscrizione ed addirittura fuori regione (non potendo rifiutare l'incarico, pena la cancellazione dalle graduatorie)
  • La grande incognita mobilità straordinaria del prossimo anno scolastico
  • L’impotenza di fronte ad un'assunzione fuori regione e la relativa immobilizzazione, per quei docenti che, all'atto di aggiornamento delle GAE, avevano scelto una provincia senza prevedere minimamente una simile DRASTICA risoluzione del “problema” precariato
  • L'assoluta incertezza circa la sorte sul futuro lavorativo e la “logistica” delle “famiglie dimezzate” di chi è precario da una vita
L’obiettivo di riformare l’insegnamento e l’istruzione del sistema scolastico italiano al fine di perseguire livelli più alti di qualità risulta evidentemente condivisibile sul piano teorico ma pone una questione preliminare circa la sua declinazione in termini pratici: passaggio sempre assai irto di insidie, come la storia recente attesta.
Una riforma della scuola è senz'altro necessaria e doverosa ammesso però di intendersi sul significato del termine 'riforma'. Negli ultimi 25 anni, infatti, in Italia è stato sovente utilizzata questa parola per giustificare interventi ufficialmente mirati a lodevoli iniziative di progresso e cambiamento, mentre ufficiosamente puntavano a una riduzione dei diritti e alla concretizzazione di un arretramento della situazione generale in diversi settori essenziali della vita sociale, penso per esempio al lavoro (il jobs act ne è esempio) e alla formazione stessa.

Ho sempre odiato i benaltristi ma questa volta un po’ di ragione ce l’hanno: voi capite bene che qualcosa non funziona in un contesto in cui constatiamo, tutti i giorni, l’incapacità di un Paese a trattenere le sue giovani teste su cui investe con la formazione; qualcosa non funziona in un contesto in cui, ogni giorno, chi siede nelle aule scolastiche indica nell'edilizia il primo vero problema della scuola di oggi; qualcosa non funziona in un contesto in cui si dotano gli istituti di una LIM, le insegnanti di un tablet per la compilazione del registro on-line e poi manca la connessione a internet in classe, manca la carta igienica (con la conseguente perdita di tempo per organizzare la logistica di approvvigionamento tramite le famiglie), mancano o sono mal attrezzate e funzionanti le aule di informatica (non basta aumentare le ore di informatica per impararla), mancano aule di scienze attrezzate per favorire l’apprendimento anche con metodi empirici, ecc...

Tante volte si intraprendono repentinamente strade lunghe e complicate quando la soluzione potrebbe essere davvero semplice: si deve decidere se la Scuola è uno degli aspetti fondanti e fondamentali da cui ripartire, investire e rilanciare il Paese. Io dico di sì.

  • La prima vera riforma della scuola dovrebbe allora consistere nel restituire al settore della formazione risorse più adeguate (l'Italia investe l'1,9% del PIL a fronte di una media europea del 4%) e nell'avvicinare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media europea.
  • Il secondo passo dovrebbe consistere in un ripensamento del concetto di autonomia secondo il principio dell’autogestione dell'ente scuola che non dovrebbe essere valutato da una autorità esterna ma dalla comunità che lo costituisce.
  • La terza priorità dovrebbe consistere nel superare una dispersione di materie secondarie e progetti formativi talora improbabili e tornare ad investire di più sulle materie fondamentali, quelle che incidono direttamente sulle capacità critico-cognitive, su quelle logiche e di calcolo, su quelle di analisi, comprensione e scrittura di testi.
Per queste indicazioni, non certo contenute nell’attuale DDL scuola, avrei presentato un ODG per impegnare l’Amministrazione a richiede il sostanziale ritiro o la completa revisione del DDL scuola. A seguito del mancato obiettivo di ritrovare una mediazione con la Maggioranza, la Minoranza ha presentato un ODG simile che ho deciso comunque di approvare.

Non siamo in una situazione normale, nel senso che non sarebbe fisiologico proporre ODG contrari a provvedimenti proposti dal Governo sostenuto dallo stesso partito con cui si amministra la città. Ma questa anomalia è la conseguenza di un'anomalia ancora più grande, ossia quella dello stravolgimento del mandato ricevuto dagli elettori riguardo settori importanti come la scuola, il lavoro e le regole fondamentali della democrazia, seguendo una linea che appare più vicina alle idee di Forza Italia e della destra piuttosto che a quelle che dovrebbero essere le posizioni di un centrosinistra popolare.