Milano, Napoli, Genova, Pisa, Perugia, Reggio Emilia, Alessandria, Bagheria, Niscemi, Palermo, Siracusa, Roma, Bari, Cagliari, Barletta, Ivrea, Voghera, Rivoli, Foligno, Arcore, Taormina, Monza, L’Aquila, Buccinasco, Viareggio, Cogoleto, Scandicci, Spello, Rimini, Campello sul Clitunno, Celle Ligure, Calamandrana e potrei continuare così per qualche altro centinaio di comuni più o meno grandi che hanno già istituito il Registro delle Unioni Civili. Si dice che un lungo cammino inizia sempre da un piccolo passo ma finalmente le gambe, come avete potuto sentire, stanno diventando molte.
I muri che ostacolano i cambiamenti di civiltà sono sempre costituiti da piccoli mattoncini e Asti, questa sera, deve fare la sua parte e togliere il suo. E’ fresca la discussione sul bilancio e sull’impossibilità di fronteggiare bisogni con la contemporanea riduzione di risorse dallo Stato centrale. Noi amministratori locali lo proviamo sulla nostra pelle: sappiamo bene che dovrebbe essere il Parlamento a seguire i bisogni e le necessità dei cittadini mentre accade sempre più spesso che siano i cittadini (e le istituzioni ad essi più vicine) a dover far fronte alle nuove (e a volte anche alle vecchie) esigenze. E’ allora anche grazie alla spinta dei singoli Comuni elencati a cui stasera vorremmo accodarci se, proprio in questi giorni, è in discussione in commissione Giustizia del Senato una proposta di legge per giungere al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Proposta che allora oggi più che mai dobbiamo sostenere onde evitare che si blocchi a pochi metri da un traguardo storico.
Il nostro parlamento è infatti da oltre 10 anni che ha intavolato la discussione (ma i primi disegni di legge in proposito furono presentati già nel 1986) ed è l'unico tra quelli fortemente sviluppati dell'Europa continentale a non aver dotato il Paese di una legge che riconosca stessi diritti per tutte le coppie, una legge che dia dignità ad una forma di unione affettiva che ha già ricevuto il pieno riconoscimento della società civile ed attende solo il riconoscimento istituzionale. Poichè siamo NOI gli Amministratori maggiormente a contatto con questa società civile e siamo Amministratori di una comunità intera, non di una parte di essa, abbiamo il dovere non solo di sollecitare il livello nazionale, ma anche e soprattutto di rendere NOI concretamente Asti una città civile e dobbiamo farlo mettendo nero su bianco l'eliminazione delle discriminazioni e diseguaglianze riguardanti le coppie legate da vincolo affettivo.
È proprio sulla scia del motto repubblicano francese "libertè, egalitè, fraternitè", che lo scorso Consiglio abbiamo messo nero su bianco, all'interno del regolamento comunale, il principio della fraternità. Oggi vorremmo parlare anche dei principi di libertà ed uguaglianza: la libertà secondo cui ognuno di noi può decidere come rendere pubblico il proprio status personale e l’uguaglianza perchè non parliamo di diritti speciali per qualcuno, ma degli stessi diritti per tutti.
Ciò che vorremmo fare oggi è quindi rendere più evidente sia dal punto di vista simbolico che pratico, un atto, un'iniziativa amministrativa che abbiamo fortemente voluto e che serve sostanzialmente a parificare, almeno sotto il profilo dei rapporti e servizi offerti dal Comune di Asti, le coppie di fatto non sposate legate da vincolo affettivo.
Qualcuno in buona fede potrebbe chiedersi: è compito nostro? Serve? A chi e a quanti serve? Oppure è il classico provvedimento che fa chic e non impegna? Cercherò di rispondere ad alcune di queste domande.
È compito nostro?
Una moltitudine di organi e testi giuridici e non hanno più volte espresso giudizi favorevoli al riconoscimento delle coppie di fatto: lo hanno fatto la Costituzione (art.2), la Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione, il Parlamento europeo, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art.1), la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Premesso ciò, la creazione di un nuovo status personale è però certo spettare al legislatore statale così come riconosciuto in una sentenza della Corte Costituzionale. Nonostante ciò è riconosciuta al Comune la possibilità di operare in materia per le finalità ad esso assegnate dall'ordinamento; Il Comune di Asti, anche alla luce del Decreto Legislativo n. 267/2000, ha pieno titolo ad operare, nell'ambito delle proprie competenze, per promuovere pari opportunità per le unioni di fatto, favorendone l'integrazione sociale e prevenendo forme di disagio e diseguaglianza di trattamento, con particolare riferimento alle persone anziane e alle forme di discriminazione fondate sull'orientamento sessuale; Questo non lo dice il Consigliere Aceto: lo dice già oggi la legge e la giurisprudenza.
Serve?
Per garantire all'istituzione del Registro delle Unioni Civili una valenza pratica, alla sua approvazione dovrà contestualmente sommarsi la cura delle redazioni degli atti comunali futuri e il controllo ed eventuale ammodernamento dei regolamenti attualmente vigenti. Sotto questo profilo ci risulta che il Comune di Asti abbia già eseguito spontaneamente, tramite Assessorati e Uffici e anche grazie a questa nostra iniziativa, un attento lavoro di controllo di atti e regolamenti comunali riscontrando misure soddisfacenti di prevenzione di ogni forma di discriminazione per le famiglie anagrafiche. Chiediamo che questo lavoro, da ora in avanti, riguardi anche le coppie di fatto e mettere nero su bianco questa richiesta serve a rendere un diritto realmente riconosciuto ciò che invece oggi è affidato semplicemente all'attuale buonsenso di alcuni.
A chi serve?
Spesso quando parliamo di Unioni di fatto il pensiero di molti, a dimostrazione dell’immaturità della società in cui viviamo, corre subito all’unione tra due persone dello stesso sesso. Ricordiamoci che questo è un provvedimento che non riguarda solo “la comunità LGBT” (che è un termine che personalmente odio perché intrinsecamente contiene un fattore di discriminazione). Ne beneficeranno bensì tutti i maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso, legati da vincolo affettivo, coabitanti ed aventi dimora abituale nel Comune di Asti.
Se avete notato fino ad ora non ho mai parlato di famiglia e invito anche voi a non farlo poiché quello di cui stiamo disquisendo nulla ha a che vedere con l’oggetto dell’articolo 29 della Carta Costituzionale né con l’ambito religioso che ancora qualcuno si ostina ad utilizzare strumentalmente per giustificare in realtà la propria omofobia. Vi prego di rimanere concentrati sul reale oggetto di discussione che sono i diritti, i diritti come reale affermazione di uno stato laico che nulla vuol sottrarre al credo religioso e a convenzioni da tempo radicate nella nostra società.
Istituire ad Asti il Registro delle unioni civili consentirà infatti di andare oltre i diritti del singolo cittadino, riconoscendo alla coppia, soprattutto a quella che oggi non avrebbe alcuna maniera e possibilità di esprimere il proprio status, quel vincolo affettivo che, al pari delle altre forme legittimate di unioni, rafforza il valore di essere e sentirsi parte della comunità astigiana.
Con l’intento di celare una contrarietà ideologica di fondo argomentandola con valutazioni numeriche e insinuando il dubbio della demagogia da parte di chi è invece favorevole, qualcuno potrebbe essere tentato di distogliere l’attenzione dall’importanza del gesto politico. E potrebbe farlo disquisendo, per esempio, su quanto questo strumento amministrativo sia usato là dove è già stato adottato. Ebbene vi prego di non cadere in tentazione perché siamo perfettamente coscienti che i numeri non saranno grandi, semplicemente perché grandi non sono i benefici che ne derivano essendo molto limitati gli ambiti di applicazione a livello comunale. Quand'anche però dovessimo garantire, col nostro provvedimento, i diritti, la dignità e il fondamentale riconoscimento del vincolo affettivo anche solo ad una singola coppia in tutto l’astigiano, ebbene io mi sentirei enormemente orgoglioso e onorato di averlo permesso e, ove possibile, di averlo fatto assieme a voi.
Vorremmo oggi contribuire a un'Italia unita nei diritti civili e speriamo, se possibile, che lo sia in futuro anche per quelli politici. Saremo una società realmente civile quando, anziché incontrarci per dibattere di accettazione e arginamento delle diversità, ci ritroveremo semplicemente per prendere atto e recepire le naturali uguaglianze.