mercoledì 12 novembre 2014

L'importante è che non sia CoCoCo-working


Dopo lo tsunami sociale generato dalla crisi economica, pensare che i posti di lavoro repentinamente persi in questi anni possano ritornare dov’erano nel periodo pre-crisi, secondo me, è illusorio: so che dovrei cercare di essere ottimista ma proprio non riesco a immaginare un fattore scatenante tale per cui, a un certo punto, i grandi colossi economici nazionali come Finmeccanica, Telecom, le banche, le Poste o lo stesso Stato tornino ad eseguire assunzioni di massa.

Quindi se negli ultimi anni, come tutti sappiamo, abbiamo assistito a mutazioni socio-economiche causate dalla crisi (che qualche interrogativo dovrebbero suscitarci circa la bontà o meno di un modello di sviluppo basato su un capitalismo finanziario globalizzato), negli ultimi 20 anni abbiamo contemporaneamente assistito ad una trasformazione della società dovuta sostanzialmente all'espansione rapidissima delle reti della conoscenza e delle reti tecnologiche. Queste hanno fatto sì che nascessero tantissime nuove tipologie di lavoro che, almeno in Italia e secondo il mio parere, sono state spesso e volentieri snobbate o quantomeno mal governate (e qui faccio un po’ di sana autocritica dicendo che noi del Pd dovremmo forse badare più a riconoscere, snellire e promuovere a livello normativo queste nuove forme di lavoro anziché concentrarci troppo sulle modifiche all’articolo 18).

Quello che di nuovo però sta succedendo nel mondo del lavoro è una nuova organizzazione e soprattutto un nuovo approccio mentale anche al lavoro legato alla “vecchia economia” che consiste non più nell'attesa o nella ricerca di un lavoro ma spesso nella creazione autonoma di nuovo lavoro.

Nel 2005 un ragazzo di San Francisco decise, per la prima volta, di affittare il suo posto di lavoro ad altri che avevano la sua stessa passione: nacque così il coworking. Abbiamo alcuni importanti esempi di successo anche molto vicino a noi, a Torino:

TOOLBOX si basa prevalentemente su progetti legati alla “new economy” e ha sede in una vecchia fabbrica di alluminio che è diventata uno spazio in cui convivono 150 persone che condividono strumenti, idee, progetti e clienti.
FABLAB che riprende invece il concetto del coworking calzato sulla vecchia economia e in particolare sul mondo dell'artigianato.

In questi posti, spesso, anche progetti complessi hanno la possibilità di giungere in porto perché a fianco a te ci sono persone con competenze diverse ma complementari alle tue e che condividono il tuo stesso stile di vita. Il coworking non è infatti solo una maniera di avere un ufficio affittando una scrivania, ma è condividere il tuo lavoro con persone che hanno la tua stessa visione del mondo, condividono la tua voglia di cambiarlo e condividono la tua voglia imprenditoriale.

Lo dico strizzando l’occhio al M5S che da sempre è sensibile al tema e con il quale solo adesso scopriamo di poter dialogare costruttivamente: se ci pensate bene, tale tipo di approccio innovativo al lavoro deriva dalle logiche della rete: gli individui abituati a lavorare in rete hanno una mentalità più collaborativa. La cultura della rete è un modello che parla di apertura, collaborazione, partecipazione e questa cosa si riflette anche nel modo di lavorare che adotta il concetto di condivisione come imperativo per reinventare il lavoro che non c'è più. Modo di lavorare che si sposa, come abbiamo detto, anche con l’azienda tradizionale perché ne moltiplica i contatti, le relazioni e di conseguenza anche le relazioni di tipo progettuale e produttivo.

Quindi, in ultima analisi, non si cerca più un posto di lavoro in senso stretto: quando parliamo di "posto di lavoro" ci riferiamo a un posto fisico in cui recarsi tutti i giorni e rincasare tutti i giorni. I nostri concittadini astigiani, in questo momento, non cercano un “posto di lavoro”: cercano un “lavoro” e, a fronte di quello, cercano un posto in cui stare per lavorare. E’ una questione di scelta che rende secondario il “posto di lavoro” rispetto al “lavoro” stesso. Io mi auguro che noi del Pd, nel concedere al lavoratore astigiano questa possibilità di scegliere dove svolgere il suo mestiere, possiamo manifestare la stessa sensibilità che abbiamo quando vorremmo concedere al lavoratore italiano la possibilità di scegliere se usufruire mensilmente della sua quota di TFR.

Per quel che mi riguarda, quindi, l’Assessore alle attività produttive e al lavoro ha la mia piena fiducia ed esortazione nel tentare di individuare, attrezzare e promuovere, nella nostra città, uno spazio in cui valorizzare questa nuova concezione del lavoro che traduce in termini nuovi quelle che un tempo erano la saggezza, la forza e la bellezza e che noi oggi attualizzeremmo con l’intuizione, la tecnologia e il design.

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