martedì 8 dicembre 2015

United Colors (o quasi)


Ringrazio tutti coloro i quali sono intervenuti durante il Consiglio Comunale aperto del 2 dicembre 2015 sul tema "immigrazione". Li ringrazio in particolare per gli importanti contributi che ci hanno ancora di più aperto gli occhi su un mondo che non scopriamo oggi; un mondo e storie che parlano di quanto accade non in un’altra epoca lontana da noi, ma oggi e contemporaneamente in diverse aree geografiche.

Storie che lontano dall’Italia raccontano di navi in partenza stracolme di migranti, di razzismo, di pelle chiara e scura, di schiavitù, di violenza, dell’indifferenza dei governi, di povertà totale, senza scampo né vie di fuga.
Storie che, quando va bene, in Italia si ritrovano sui barconi di Lampedusa o sui binari della Stazione Centrale di Milano o ancora alla frontiera di Ventimiglia.
Quando va male producono invece agli occhi del mondo uno spettacolo poco edificante per tutti:
Penso ad esempio al recente settembre 2015, alla foto della spiaggia di Budrum, in Turchia, con il corpicino di Aylan Kurdi, un bimbo di 3 anni annegato assieme al fratellino di 5 durante il naufragio dell'imbarcazione che doveva portare la loro famiglia a Kos, l'isola greca dove migliaia di profughi provenienti dalla Siria sbarcano con la speranza di raggiungere il Nord Europa. Foto che ricorderete pubblicata sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo.


Penso all'ottobre 2013 e alla tragedia a poche miglia dal porto di Lampedusa quando il naufragio di una imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti provocò 366 morti accertati e circa 20 dispersi, numeri che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall'inizio del XXI secolo.


Ho cercato una citazione che rendesse l’idea che vorrei trasmettervi sul tema dell'immigrazione e ho trovato quella di William Faulkner, Premio Nobel statunitense per la letteratura nel 1949 che parlando degli Stati Uniti degli anni Cinquanta scrisse: 

«Essere oggi contro una società multiculturale è come
vivere in Alaska ed essere contro la neve»

L’Italia è ormai da tempo una società multiculturale e dobbiamo quindi imparare inevitabilmente a riconoscerlo fondando conseguentemente le azioni di governo del fenomeno, sia a livello locale che nazionale, su principi di uguaglianza nei diritti e giustamente nei doveri, di giustizia sociale e di inclusione perché solo in questa maniera si potrà costruire una società più giusta e più equa per tutti, compreso per chi oggi si sente più impaurito e spaventato dal cambiamento e fatica a interiorizzarlo come un dato di fatto. Ma esiste un modo per non avere paura di chi giunge in Italia?

Sicuramente una maniera è tentare di comprendere che, contrapposta alla nostra paura, vi sono la paura e la miseria quali ingredienti predominanti della vita quotidiana di chi alla fine tenta fortuna in un Paese che non è il proprio. Un passaggio della poesia "Home" di Warsan Shire recita “nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”.

Contemporaneamente a questa riflessione, come ricordato da diversi interventi della discussione consiliare, bisogna anche tentare di passare dalla dimensione della caricatura, cioè dal rappresentare questi uomini e donne come una specie di monolite, un tutto indistinto, a raccontare le loro vite e le loro storie singolarmente, storie differenti di persone reali con un nome e un cognome.


Assistiamo invece ultimamente, sempre più spesso, a una efferata speculazione e strumentalizzazione politica del fenomeno immigrazione, una speculazione e strumentalizzazione che mirano solamente, a mio avviso, alla conservazione degli equilibri e a servirsi degli ultimi purché rimangano tali nel tempo.
Ed è con l'utilizzo reiterato di questa logica che, in questo Paese, molti aspetti diventano “emergenza” proprio perché, nel tempo, non si sono prese le adeguate misure, concertandole e sapendole spiegare a una popolazione oramai matura: quella gente che al mattino porta a scuola i figli in classi composte, quando va bene, solo per metà da figli di italiani, e che quando va a prendere l’aperitivo, chiede  lo spritz a una persona che spesso di cognome non fa Rossi ma Chen, Zhang o Wang.

Si è sottovalutato per molto tempo un fenomeno che non è emergenziale ma strutturale. Forse si è sprecato in questo senso il semestre europeo, il secondo del 2014, per fare un passo indietro anziché avanti. Alcune prese di posizione che erano considerate radicali adesso finalmente si cominciano a considerare: penso al coinvolgimento dell’ONU, alla dimensione che si inizia finalmente a dare di un fenomeno che non è solo italiano o europeo ma è globale: si tratta di almeno 2-3 continenti in gioco!

Occorre allora che la politica faccia la sua parte ma troppo spesso le posizioni della sinistra italiana si sono appiattite su linee moderate o addirittura di destra edulcorate dalla paura di perdere voti utili alle prossime elezioni. E allora voglio affermarlo con forza e in maniera inequivocabile: bisogna adottare provvedimenti atti a favorire l’accesso regolare dei migranti, a rivedere le norme sulla clandestinità, a superare i CIE, ad addivenire a una normativa comune e organica di livello europeo riguardo il diritto d’asilo, capace di tener conto della mutata situazione nel quadro internazionale. A questa revisione deve accompagnarsi, fin da subito, l’apertura di corridoi umanitari, anche via mare, sotto l’egida dell’ONU per consentire l’emigrazione legale dei dissidenti e di coloro la cui vita è in pericolo nei Paesi d’origine. Il tutto nella prospettiva di un controllo sovranazionale, con la meta finale di una legislazione unitaria che regoli l’ingresso e il soggiorno nei Paesi membri.
È ineludibile il superamento definitivo dei CIE, a oggi luoghi di sospensione dei diritti che, oltretutto, hanno assorbito ingenti risorse pubbliche che sarebbero state più efficacemente utilizzate per politiche di integrazione a livello territoriale.
Un altro intervento imprescindibile concerne il lavoro, i suoi diritti e la sua rappresentanza sindacale. Casi in cui i lavoratori sono sotto scacco del caporalato che impone paghe risicate e modalità di lavoro massacranti non sono più una prerogativa del mezzogiorno ma irrompono prepotentemente anche in provincia di Asti dove la scorsa estate la GdF ha scoperto e identificato 106 lavoratori in nero.  
Altri interventi necessari risultano essere la semplificazione dell’ottenimento della cittadinanza e il riconoscimento dello ius soli ai figli dei migranti. Sotto questo aspetto Asti si è resa attiva promotrice, col Governo centrale, di un'azione di sensibilizzazione ed esortazione a legiferare.

Nel solco di questi provvedimenti, la cui attuazione ritengo ormai imprescindibile, anche noi amministratori locali dobbiamo farci portatori di una cultura e di una azione politica che riconosca l’immigrazione come elemento strutturale, ordinario e costitutivo del cambiamento in atto nella società italiana e nella nostra città.
Ricordo che il contrario del termine integrazione altrimenti è disintegrazione, mentre oggi si tratta di vivere in Alaska e di affrontare il cambiamento sapendo che viviamo immersi nella neve.

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