martedì 25 agosto 2015

Presidenza Asp: pubblicare i numerosi curricula pervenuti


Dopo la pubblicazione dell’avviso di ricerca per un componente del CdA Asp, risulta che siano pervenute al Comune numerose dichiarazioni di disponibilità.

Ora riteniamo opportuno proseguire sulla strada della trasparenza, come già avevamo sollecitato in occasione delle dimissioni del presidente Paolo Bagnadentro: il Comune pubblichi sul proprio sito i nomi e i curricula dei cittadini disponibili a ricoprire la carica di consigliere o presidente in seno al CdA della più grande e strategica partecipata degli astigiani, carica che ricordiamo essere remunerata con un compenso tra i 10mila e 32mila euro annui.

Ancora una volta ribadiamo che tale scelta andrà fatta seguendo principi quali il merito e la competenza, lasciando ad altri tempi e ad altri schieramenti le selezioni basate sul colore politico.

Asp è un’azienda di servizi al cittadino e se è vero che al suo interno i rappresentanti dei cittadini devono avere un ruolo di garanzia, è altrettanto vero che questo non consente al Comune di sorvolare sull’indipendenza e sull’autorevolezza né dei consiglieri, né tanto meno del suo presidente.

Clemente Elis Aceto (indipendente),
Riccardo Fassone ed Enrico Panirossi (Partito Democratico),
Consiglieri comunali - Asti

giovedì 30 luglio 2015

Modalità trasparenti e meritocratiche per gli incarichi pubblici


Appresa dagli organi di stampa la notizia delle dimissioni del presidente dell’Asp Paolo Bagnadentro, cogliamo l’occasione per congratularci con lui per l’ottimo lavoro svolto in questi due anni e otto mesi. Gli auguriamo di trascorrere innumerevoli futuri momenti felici assieme alla sua famiglia.

In qualità di consiglieri comunali, ne approfittiamo per effettuare una riflessione sulla nomina del futuro presidente della più importante e strategica società partecipata del comune di Asti, ed in generale sulle modalità di selezione dei candidati agli incarichi pubblici che questa e le future Amministrazioni astigiane dovranno adottare.

Le nomine che attendono il Comune di Asti, tra cui anche quella del nuovo presidente Asp, dovranno a nostro parere avvenire all'insegna della trasparenza e della meritocrazia. Invitiamo pertanto il Sindaco ad affrontare questa fase attraverso il meccanismo della selezione per meriti e capacità, offrendo a chi è in possesso dei requisiti gli strumenti necessari a candidarsi, e ai cittadini una procedura trasparente per seguire le fasi di selezione.

In una fase in cui la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni è ai minimi storici, è necessario dimostrare la capacità della politica di saper affidare ruoli chiave a figure di comprovata competenza. Questa potrà inoltre essere l’occasione per riaffermare l’indipendenza di cariche ed enti, introducendo ove necessario norme che indichino con chiarezza le incompatibilità tra mandati pubblici, ruoli politici e cariche all’interno delle grandi forze economiche.

I Consiglieri comunali
Aceto - Fassone - Panirossi

4 Temi | 8 Sì - La Sovranità appartiene al Popolo


Lo scorso 16 luglio, presso la Corte di Cassazione, sono stati depositati ben 8 quesiti referendari riguardanti la legge elettorale (l'Italicum), il blocco delle trivellazioni in mare del decreto Sblocca Italia, la riforma del lavoro (il Jobs Act) e il preside-manager della riforma "Buona Scuola". Si tratta, come evidente, di questioni cruciali, di aspetti fondamentali secondo la nostra Costituzione. Ulteriori informazioni e approfondimenti sono disponibili sul sito web referendum.possibile.com

Il Comitato "Asti POSSIBILE", con la collaborazione trasversale di alcuni Consiglieri Comunali, si è adoperato per attivare la raccolta firme nel Comune di Asti. Da questa settimana e fino alla fine di settembre sarà infatti possibile sostenere la campagna referendaria recandosi a firmare presso l'URP del Comune di Asti, in Piazza San Secondo, aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 12 e martedì e giovedì pomeriggio dalle 15.30 alle 17.30.
Si potrà firmare anche presso i banchetti che verranno organizzati in città, presso i Portici Anfossi di Piazza Alfieri, prevalentemente nei giorni di mercato. Ove possibile, si procederà anche alle formalità per l'attivazione della raccolta firme nei Comuni della Provincia, della quale si farà altrettanta informazione e promozione.

L’idea è quella di condividere con la Città una serie di quesiti sui temi fondamentali della vita politica del nostro Paese. La sfida referendaria consentirebbe di restituire ai cittadini la sovranità che hanno smarrito rispetto a un Parlamento che ha compiuto, spesso sotto la minaccia del voto di fiducia richiesto dal governo, scelte mai contenute in alcun programma elettorale e su cui mai era stato chiesto il voto ai cittadini. Pensiamo che gli elettori debbano potersi esprimere almeno dopo: per poterle cancellare o modificare.

Una campagna popolare, aperta a tutti, partecipata, che parte finalmente dal basso. Se ognuno farà la propria parte e tutti avranno voglia di mettersi in gioco, allora si riuscirà a raggiungere l'obiettivo delle 500.000 firme entro il 30 settembre: solo così i referendum potranno essere indetti già nel 2016; in caso contrario, se ne riparlerebbe tardivamente nel 2017.
Chiunque volesse contribuire all'organizzazione della raccolta firme può scrivere a astipossibile@gmail.com.
Si tratta anzitutto di una questione democratica: la scelta appartiene al popolo.

lunedì 13 luglio 2015

BattiQuorum - Votare deve essere importante per chi lo fa


L'audiointervento in Consiglio Comunale

Chiacchierando, leggendo e confrontandomi sul "Quorum Zero" ho sostanzialmente ascoltato due scuole di pensiero:

La prima: recependo il quorum zero corriamo il rischio di incamminarci in un sentiero volto a “delegittimare l’azione politica”, un sentiero che conduce in un’agorà in cui rischia di vincere chi urla di più, mentre dovrebbe scegliere chi ha già vinto perché si è sottoposto al “bagno elettorale”. 

Io non concordo: recependo il quorum zero non delegittimiamo l’azione politica, casomai MODIFICHIAMO le dinamiche dell’azione politica: se io amministratore so che una decisione può essere sottoposta all'opinione dei cittadini attraverso lo strumento del referendum mi adopererò PRIMA per un’ampia condivisione dei miei progetti contribuendo così ad aumentare il grado di partecipazione oggi ridottasi a bassissimi livelli. Ci dovremmo interrogare poi se la logica del “vince chi urla di più” sia valida solo per i referendum o anche a proposito dell’elezione dei rappresentanti istituzionali che si sottopongono al cosiddetto “bagno elettorale”. Poi perché se i cittadini devono dare mandato di rappresentanza a noi può bastare meno del 50% degli aventi diritto mentre se si devono esprimere loro devono essere più del 50% degli aventi diritto? Se avessimo un quorum anche per le elezioni dei rappresentanti le ultime elezioni non avrebbero espresso eletti e il fatto che invece li abbiano espressi vuol dire che sono delegittimati politicamente poiché votati da meno del 50% degli aventi diritto? Io dico di no!

La seconda: ma tu sei per una democrazia rappresentativa che si estrinseca attraverso l’azione dei corpi intermedi o per una democrazia diretta dei cittadini? Perché sono due cose in antitesi e una esclude l’altra.

Non sono così convinto che si escludano a vicenda: così come uno o più eletti potrebbero non essere d’accordo su uno o più punti del mandato di governo su cui i cittadini gli hanno conferito potere di rappresentanza, che non è una delega in bianco, anche i cittadini potrebbero non essere d’accordo su alcuni punti e vorrebbero magari potersi esprimere all'occorrenza e senza vincoli, esattamente come hanno fatto quando hanno conferito quel mandato ai propri rappresentanti.
I cittadini danno agli eletti un mandato di rappresentanza, ripeto, non una delega in bianco, se così non fosse potrebbero verificarsi delle storture. Per esempio potrebbe verificarsi che non 1,2 o 3 eletti, ma addirittura un’intera maggioranza non sia d’accordo con uno o più punti del programma elettorale sul quale hanno ricevuto mandato e quindi non attuarli. Questo fatto denoterebbe, oltre ad una evidente crisi di rappresentanza, persino una sfida alla legge dei grandi numeri!

La crisi della rappresentanza è drammaticamente percepibile, come la crisi di fiducia verso quelle comunità intermedie costituite anche dai nostri partiti politici che, vuoi per loro colpe, vuoi per colpe di chi dovrebbe ascoltarli, hanno diminuito il loro potere di incidere nei processi decisionali.

La situazione contingente vede il verificarsi del combinato disposto di una crisi di rappresentanza e di un preciso disegno di continua ed inesorabile sottrazione ai cittadini del potere di intervento nella vita pubblica: questo fatto determina uno squilibrio di poteri decisionali che fa pendere la bilancia TROPPO verso gli eletti le cui decisioni non vengono così controbilanciate né dai corpi intermedi, né dai cittadini direttamente. E' per questo motivo che, pur prediligendo e riconoscendo la centralità dei corpi intermedi nella funzione della rappresentanza democratica, in questo particolare periodo socio-economico-politico, ritengo sia altrettanto importante che gli eletti abbiano un controaltare e questo controaltare siano i cittadini che li hanno votati.

A scuola mi hanno insegnato che la democrazia è il governo del popolo.

Esempi di questa sottrazione di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e quindi di depauperamento della democrazia potrei farne a bizzeffe:

Il "Jobs Act", la riforma del lavoro
  • basti pensare al trattamento riservato ai corpi intermedi, a volte persino sbeffeggiati, rappresentati dai sindacati.
  • approvato con il ricorso al voto di fiducia da parte del Governo sotto forma di Legge delega che quindi demanda non necessariamente ad eletti le scelte definitive.

"La Buona Scuola", la riforma della scuola
  • in cui non pare che la disponibilità di dialogo coi corpi intermedi l’abbia fatta da padrone con il culmine nel voto di fiducia che ha scavalcato persino la discussione dei rappresentanti in parlamento dei cittadini

La riforma del Senato
  • realizzata da un parlamento eletto in base ad una legge dichiarata incostituzionale che determina un problema di legittimazione, non giuridica, ma quantomeno politica
  • le riforme costituzionali dovrebbero rispondere in primo luogo all'esigenza di favorire e accrescere la partecipazione dei cittadini mentre con questa riforma la si riduce (eletti non sono espressione del voto popolare).
  • le funzioni del Senato che la riforma si prefigge di realizzare: funzioni di riflessione, controllo e garanzia anche attraverso funzioni di coesione territoriale (consiglieri regionali e sindaci) sarebbero più adeguatamente svolte da un Senato in larga parte elettivo cosa che non è.

L'Italicum, la riforma elettorale
  • La nuova legge elettorale per la Camera dei deputati (L. 52 del 2015), contravvenendo a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, ha nuovamente introdotto un sistema che impedisce, in larga misura, la scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentati nell'unica Camera del nostro Parlamento destinata a rimanere direttamente elettiva. Spetta, infatti, ai Partiti indicare i Capolista in 100 collegi plurinominali, con la conseguenza che chi vince le elezioni, grazie al premio di maggioranza, otterrà 100 deputati su 340 indicati come Capolista e quindi sottratti alle preferenze dei cittadini; chi le perde vedrà eletti 290 deputati in proporzione ai voti ricevuti, tendenzialmente coincidenti con i Capolista». In breve: «390 deputati su 630 saranno sottratti alla libera e democratica elezione popolare alla faccia della Corte costituzionale e della Sovranità popolare.

Elezioni provinciali
  • L'avamposto territoriale della logica di diminuzione del potere di intervento nella vita pubblica da parte dei cittadini sono le elezioni provinciali: elezioni di secondo livello in cui non sono i cittadini ad eleggere direttamente i rappresentanti ma i loro rappresentanti eletti in altri Enti per fare altro.

Le leggi di iniziativa popolare
  • nel nostro Parlamento, le leggi di iniziativa popolare hanno una possibilità su 25 di diventare realtà. Gli ultimi dati disponibili negli archivi digitali delle Camere risalgono all’inizio dell’ottava legislatura, nel 1979. A partire da questa data fino alla fine del 2010, su 216 proposte di legge di iniziativa popolare depositate, solo 9 sono state approvate in via definitiva. Le altre sono ancora «in discussione» o addirittura «da assegnare alle commissioni competenti» (ovvero dimenticate per sempre negli archivi della Camera e del Senato).

Ed è con questi numeri desolanti che si misura l’ascolto che noi politici, i nostri partiti, rappresentati nelle istituzioni, danno alle istanze popolari, che pure la Costituzione prevede e sollecita.
Allora, non ci limitiamo solamente a verificare l’esistenza di una deriva autoritaria che non ci piace senza cercare di fare nulla per invertire la tendenza, ma prendiamo anche atto di una lenta e inesorabile sottrazione ai cittadini del loro DIRITTO di partecipare alla vita pubblica: se siamo noi stessi amministratori locali, con le nostre mani, ad escluderli non stupiamoci se poi alle elezioni va a votare 1 italiano su 2.

Esprimersi attraverso il voto deve tornare ad essere importante, per chi lo fa. E dannoso per chi se ne astiene che di fatto “delegherà” non ai rappresentanti, ma a chi decide di decidere, la scelta su temi importanti per la città. Naturalmente questa massa silente o indifferente fa molto comodo al potere ma danneggia la democrazia, avvilisce la partecipazione, mortifica la volontà di approfondire, svuota l’agorà.

Abbiamo oggi l’occasione di dimostrare che anche a Asti i cittadini contano. Cerchiamo di coglierla, non per timore o per convenienza, ma per sincera volontà di riconoscere il valore vero di una democrazia che ci sta sempre più sfuggendo di mano.

giovedì 4 giugno 2015

La Buona Scuola o una Scuola alla Buona?


In merito alla riforma della scuola, il Governo ha risposto alle critiche, alle dimostrazioni di malumore e alle proposte del parco docenti, degli studenti, dei genitori e delle forze sociali con un pot-pourri di insensibilità e talune volte arroganza.

Bisognerebbe invece, a mio avviso, preferire la via dell'ascolto reale e sincero delle parti coinvolte e sconvolte da questo progetto di riforma e magari tarare la riforma stessa non sul brevissimo periodo ma utilizzare l’ausilio di un piano pluriennale che avrebbe consentito di ordinare meglio tutte le pedine nelle giuste caselle e con tempi fisiologici. Fare questo sarebbe rispettoso per chi da settimane è mobilitato a proprie spese (in tutti i sensi) per difendere, non solo gli interessi di una qualche categoria, ma del Paese intero. Sarebbe oltretutto necessario perchè, se è vero che a parole tutti vogliono valorizzare il ruolo degli insegnanti, capita poi troppo spesso che i politici, categoria di cui facciamo parte a livello locale, li oltraggino. Sarebbe infine anche un modo per dire e ricordare a tutti che la scuola è da anni oggetto di riforme che l'hanno resa più povera, più fragile, meno pubblica, meno uguale.

Noi rappresentiamo la nazione e i cittadini a livello locale e i concetti di nazione e cittadinanza iniziano proprio a scuola e dalla scuola.

Prendo atto invece a malincuore del fatto che chi governa questo Paese sta cambiando le regole del mondo dell’istruzione senza ascoltare chi sta ogni giorno in classe o gravita attorno all'ambiente scolastico. Si vede che il livello di governo nazionale non ha ben compreso che, ignorando una reazione contraria di tale portata (penso anche allo sciopero del 5 maggio e al boicottaggio dei test invalsi) e così trasversale (pensiamo che ha messo d’accordo insegnanti di ruolo, famiglie, alunni, forze sindacati, minoranze parlamentari ed anche buona parte stessa dei precari), rischia NON di fare la riforma della scuola, ma una riforma CONTRO la scuola.

Imperterriti si decide invece di andare avanti come il capitano Edward Smith, il capitano del Titanic, di fronte alla “grande donna bianca”, l'iceberg, destinati solamente a scontrarsi con la disgregazione lenta e inesorabile della scuola pubblica italiana.

Ho seguito con attenzione l’iter del DDL alla Camera e devo dire che, nonostante i miglioramenti apportati in commissione, l'impianto generale della riforma, già approvata dal primo ramo del Parlamento, resta per me assolutamente non condivisibile sostanzialmente perché mina alle basi la possibilità di rendere il sistema di formazione pubblico davvero universale, moderno, che guardi e sia rivolto davvero a tutti.

Sono tre gli aspetti particolarmente incriminati di questo indebolimento della scuola pubblica così come risultanti dal DDL:
  1. Il potere di chiamata diretta degli insegnanti attribuito al dirigente scolastico
  2. Il meccanismo di valutazione dei docenti
  3. L’introduzione non regolamentata dei finanziamenti privati
Tutti i precedenti punti vedono alla base alcuni preoccupanti comuni denominatori:
  1. La volontà di premiare l’arbitrio del dirigente scolastico di turno e non certo il merito del personale scuola
  2. L’incastonamento dell’istruzione pubblica generale in un quadro in cui si avalla e si incoraggia l’esistenza di scuole di serie A, generalmente frequentate dai figli di una certa classe e ceto sociale e dislocate in punti precisi del territorio nazionale e scuole di serie B, generalmente frequentate dai figli di un ceto sociale meno abbiente e localizzate nelle zone più povere del Paese (e non mi riferisco solo al Sud). Il tutto in barba a moltissimi principi enunciati dalla Carta Costituzionale.
E a ciò si aggiunge, ultimo ma non meno importante,
  1. l'esclusione da qualsiasi percorso di stabilizzazione di decine di migliaia di precari abilitati che da anni prestano il loro servizio nella scuola pubblica (e la cui assunzione a tempo indeterminato al superamento del 36° mese di servizio sarebbe imposta da una sentenza della Corte di Giustizia Europea)
  2. la parallela assunzione di altrettanti docenti secondo regole che di fatto mascherano da stabilizzazione una vera e propria precarizzazione del loro futuro (tant’è vero che anche molti dei potenziali assunti iniziano a domandarsi se non sia meglio rimanere precari). Il meccanismo pare somigliare, in ambito pubblico, a ciò che stà alla base del jobs act: si spaccia per stabilizzazione dei precari con un contratto a tutele crescenti ciò che in realtà risulta un depauperamento dei diritti sui futuri contratti a tempo indeterminato se paragonati a quelli attuali.
Tra le situazioni che generano tale precarizzazione di fatto cito ad esempio:
  • La perdita di titolarità sulla cattedra che si occuperà
  • La possibilità CONCRETA di essere costretti a trasferirsi su altre materie, mai insegnate, a causa di suddetta perdita di titolarità a meno che non si riesca a trovare un dirigente, per così dire, “compiacente”
  • L’entrata nei famigerati “albi territoriali” con la conseguente perdita di tutte le precedenze maturate nel corso di anni e anni di insegnamento, spesso lontano da casa, ed a costo di notevoli sacrifici
  • Il rischio, specie per chi occupa posizioni più basse delle GAE, di essere “spediti” lontano dalla provincia di iscrizione ed addirittura fuori regione (non potendo rifiutare l'incarico, pena la cancellazione dalle graduatorie)
  • La grande incognita mobilità straordinaria del prossimo anno scolastico
  • L’impotenza di fronte ad un'assunzione fuori regione e la relativa immobilizzazione, per quei docenti che, all'atto di aggiornamento delle GAE, avevano scelto una provincia senza prevedere minimamente una simile DRASTICA risoluzione del “problema” precariato
  • L'assoluta incertezza circa la sorte sul futuro lavorativo e la “logistica” delle “famiglie dimezzate” di chi è precario da una vita
L’obiettivo di riformare l’insegnamento e l’istruzione del sistema scolastico italiano al fine di perseguire livelli più alti di qualità risulta evidentemente condivisibile sul piano teorico ma pone una questione preliminare circa la sua declinazione in termini pratici: passaggio sempre assai irto di insidie, come la storia recente attesta.
Una riforma della scuola è senz'altro necessaria e doverosa ammesso però di intendersi sul significato del termine 'riforma'. Negli ultimi 25 anni, infatti, in Italia è stato sovente utilizzata questa parola per giustificare interventi ufficialmente mirati a lodevoli iniziative di progresso e cambiamento, mentre ufficiosamente puntavano a una riduzione dei diritti e alla concretizzazione di un arretramento della situazione generale in diversi settori essenziali della vita sociale, penso per esempio al lavoro (il jobs act ne è esempio) e alla formazione stessa.

Ho sempre odiato i benaltristi ma questa volta un po’ di ragione ce l’hanno: voi capite bene che qualcosa non funziona in un contesto in cui constatiamo, tutti i giorni, l’incapacità di un Paese a trattenere le sue giovani teste su cui investe con la formazione; qualcosa non funziona in un contesto in cui, ogni giorno, chi siede nelle aule scolastiche indica nell'edilizia il primo vero problema della scuola di oggi; qualcosa non funziona in un contesto in cui si dotano gli istituti di una LIM, le insegnanti di un tablet per la compilazione del registro on-line e poi manca la connessione a internet in classe, manca la carta igienica (con la conseguente perdita di tempo per organizzare la logistica di approvvigionamento tramite le famiglie), mancano o sono mal attrezzate e funzionanti le aule di informatica (non basta aumentare le ore di informatica per impararla), mancano aule di scienze attrezzate per favorire l’apprendimento anche con metodi empirici, ecc...

Tante volte si intraprendono repentinamente strade lunghe e complicate quando la soluzione potrebbe essere davvero semplice: si deve decidere se la Scuola è uno degli aspetti fondanti e fondamentali da cui ripartire, investire e rilanciare il Paese. Io dico di sì.

  • La prima vera riforma della scuola dovrebbe allora consistere nel restituire al settore della formazione risorse più adeguate (l'Italia investe l'1,9% del PIL a fronte di una media europea del 4%) e nell'avvicinare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media europea.
  • Il secondo passo dovrebbe consistere in un ripensamento del concetto di autonomia secondo il principio dell’autogestione dell'ente scuola che non dovrebbe essere valutato da una autorità esterna ma dalla comunità che lo costituisce.
  • La terza priorità dovrebbe consistere nel superare una dispersione di materie secondarie e progetti formativi talora improbabili e tornare ad investire di più sulle materie fondamentali, quelle che incidono direttamente sulle capacità critico-cognitive, su quelle logiche e di calcolo, su quelle di analisi, comprensione e scrittura di testi.
Per queste indicazioni, non certo contenute nell’attuale DDL scuola, avrei presentato un ODG per impegnare l’Amministrazione a richiede il sostanziale ritiro o la completa revisione del DDL scuola. A seguito del mancato obiettivo di ritrovare una mediazione con la Maggioranza, la Minoranza ha presentato un ODG simile che ho deciso comunque di approvare.

Non siamo in una situazione normale, nel senso che non sarebbe fisiologico proporre ODG contrari a provvedimenti proposti dal Governo sostenuto dallo stesso partito con cui si amministra la città. Ma questa anomalia è la conseguenza di un'anomalia ancora più grande, ossia quella dello stravolgimento del mandato ricevuto dagli elettori riguardo settori importanti come la scuola, il lavoro e le regole fondamentali della democrazia, seguendo una linea che appare più vicina alle idee di Forza Italia e della destra piuttosto che a quelle che dovrebbero essere le posizioni di un centrosinistra popolare.