venerdì 23 gennaio 2015

Io non c'entrodestra


Il Pd, i cui principi ho sposato in maniera entusiastica qualche anno fa, non è più la stessa cosa.
Considerato il mio breve percorso politico non posso certamente affermare che prima fosse migliore: probabilmente aveva grossi limiti ma appariva ai miei occhi quantomeno perfettibile e per quello scopo mi ero messo a disposizione.
Il "cambiaverso" mi ha invece regalato esperienze dirette poco edificanti come il congresso del 2013 e un passaggio di sola andata da osteggiatore del Berlusconismo a sostanziale "alleato" di Brunetta e Verdini.
I dubbi son cresciuti esponenzialmente con il filotto di cumuli di cariche, politicamente e statutariamente discutili, dei massimi rappresentanti politico-istituzionali del Pd locale e nazionale.
Speravo si trattasse di una fase transitoria, invece le primarie liguri generano in me l'ulteriore dubbio di una deriva verticistica che basa le sue fondamenta su un vero e proprio "sistema" anziché sulle normali dinamiche democratiche di un Partito.
In questo senso il netto calo di tesseramento del Pd locale non può che essere un tassello del mosaico del "sistema" che speriamo non viri pericolosamente verso un Nazareno locale i cui effetti collaterali potrebbero riconsegnare, magari anche con l'ausilio di una deprecabile "manina", persino l'amministrazione della città al centrodestra attualmente stranamente quiescente.
Il senso di responsabilità prevale, ma esiste nel Pd una questione morale grossa come una casa e non volerla affrontare, anche a livello locale, potrebbe condurmi a non poter proprio più giocare nella stessa squadra.

P.S. "La Nuova Provincia" di oggi 23/01/2015 riporta in calce un grosso errore: NON sono assolutamente di area renziana.

giovedì 18 dicembre 2014

Diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività


I miei ringraziamenti vanno a tutti coloro i quali sono intervenuti in Consiglio Comunale e hanno portato importanti contributi. Ringrazio i promotori della raccolta firme, chi organizza dibattiti pubblici e tutti quelli che cercano di sensibilizzare i cittadini sull'argomento. Esorto anche i cittadini stessi a continuare ad informarsi sulla vicenda.

Dirò la mia conscio di quanto il tema sia delicato e di quanto sia importante in questo momento un’azione congiunta di tutte le forze territoriali: politiche, poichè la Sanità non è né di destra, né di sinistra, tecniche, di chi tutti i giorni lavora dentro o a contatto della struttura ospedaliera, sociali e di partecipazione dei cittadini. Insomma il futuro della nostra Sanità, attenendo ai diritti fondamentali di tutti gli individui, è un problema di tutti nonostante debbano giustamente essere gli amministratori a farsi carico di portarlo nelle opportune sedi e battersi per le istanze locali.

Scrivevo qualche tempo fa che è nei momenti di crisi come quello in cui viviamo che bisogna porre maggiore attenzione e puntare i riflettori sui bisogni primari delle persone:

la disponibilità degli alimenti per ovvi motivi
il lavoro che garantisce la dignità umana
l’istruzione che garantisce il progredire della società
la salute di cui oggi stiamo parlando e che quindi merita a maggior ragione ulteriore attenzione

Proprio a riguardo della salute locale, l’ultimo forte "attacco" di livello regionale che io ricordi risale a 3 anni fa sotto la Giunta Cota: si parlava allora di diminuzione a livello provinciale delle ambulanze medicalizzate e si aveva già il sentore che l’ospedale della Valle Belbo, nato dalla responsabilità messa in campo dai territori di Nizza e Canelli finalizzata alla creazione di un’unica struttura per razionalizzare la spesa sanitaria locale, non avrebbe in realtà mai visto la luce.
Questo ci dovrebbe far riflettere sul fatto che la situazione odierna probabilmente arriva da lontano, non nasce semplicemente con l’ultima Delibera della Giunta Regionale.

L’impressione e l’amarezza di fondo è che ogni volta che si ritorna a parlare di sanità piemontese a questo seguano decisioni episodiche senza che alla base ci sia un progetto complessivo e condiviso che evidentemente deve essere stilato non con l’utilizzo delle sole forbici e calcolatrice al fine di realizzare tagli lineari, senza criterio e senza un'analisi costi/benefici, ma con il supporto di motivazioni tecniche, di valorizzazione delle eccellenze, di un'individuazione delle realtà virtuose come la nostra, delle specificità e delle esigenze territoriali.

Dovremmo quindi essere qui a dibattere sulla costruzione di questo progetto complessivo e condiviso e invece oggi ci troviamo a ragionare sulle conseguenze che la politica socio-sanitaria dell’attuale Giunta Regionale provocheranno in tutto il Piemonte. Fatto che ci vede, allo stato attuale, di fatto spettatori di qualcosa calato dall'alto e non certo attori del cambiamento.

Ciò che mi preme quindi affermare con forza e convinzione è che non è centralizzando le decisioni che si aumentano le responsabilità e si realizzano economie ma è responsabilizzando ogni livello del sistema che è possibile riorganizzare la sanità e garantire comunque i servizi e la tutela della salute dei cittadini così come sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione.

Sinceramente non sono in grado di valutare a fondo la questione, ma è di molti la sensazione che l’attuale riorganizzazione sia la riproposizione di una suddivisione in quadranti in cui, confidando nel potere risolutorio di una enorme Città della Salute, è prevalentemente il territorio torinese a trarre i maggiori benefici. Questo mi preoccupa perché, se così fosse, un ragionamento torinocentrico rischierebbe di assorbire tutte le già insufficienti risorse e le scarse energie della sanità piemontese a scapito delle articolazioni periferiche atrofizzate, condannate a gravitare sui centri di Torino-Alessandria-Cuneo-Novara con il timore che possano diventare sempre più congestionati e inefficienti.

Questo presunto piano torinocentrico o comunque la predilezione che la legge intrinsecamente prevede per altri territori rispetto al nostro, senza una preventiva valutazione oggettiva circa il funzionamento delle strutture attuali, comporterebbe di fatto un declassamento insopportabile per la nostra struttura ospedaliera: in ultima analisi, le pesanti ripercussioni sui cittadini sia a livello logistico che di garanzia del malato, anche in situazioni in cui è importante preservare la sua dignità (penso al fine vita), non solo rendono questo piano NON emendabile, ma semplicemente inaccoglibile!

Oltre a un progetto di razionalizzazione complessivo e condiviso, altre sono le economie possibili da esplorare: siamo ad esempio sicuri che nel settore amministrativo regionale complessivo non ci sia ancora da rivedere e ridimensionare? I centri di costo, poi, non possono paradossalmente rivelarsi diseconomici e peggiorare la qualità (vedasi  ad es. la compromissione dell’eccellenza alimentare della nostra ASL con i prodotti del territorio a chilometro zero).

Sebbene sia lapalissiano che l’importanza degli effetti della Delibera della Giunta Regionale si debbano valutare prevalentemente sotto il profilo dei servizi sanitari, non dobbiamo però trascurare cosa rappresentano, per il tessuto economico della Provincia di Asti, l’ASL di Asti, l’ospedale “Cardinal Massaia”, le realtà di Canelli e Nizza Monferrato, per le quali vanno previste e rivendicate politicamente almeno adeguate e consistenti contropartite e misure di compensazione territoriale in termini di “strutture sanitarie alternative”, a fronte dell’impossibilità di completare il nuovo ospedale della Valle Belbo.

L’ASL di Asti è diventata ormai la più grande azienda dell’intera Provincia, diffusa capillarmente su tutto il territorio, con oltre 2.000 dipendenti, più gli occupati delle aziende, delle società di servizio collegate e dell’indotto. Deve quindi poter continuare a contribuire in modo consistente e qualificato allo sviluppo economico locale, a maggior ragione nella situazione di crisi attuale, nei seguenti settori:
  • nell’ indotto tradizionale ed evoluto (tecnologia impiantistica, produzione energetica alternativa, ecc.); 
  • nell’ applicazione di alte tecnologie non solo medico-scientifiche, ad es. informatica, HT, ecc.; 
  • nel terziario avanzato scientifico-universitario (corsi di specializzazione, convegni, congressi, ecc.), si tenga presente che il maggior numero di iscritti, la massa critica del polo universitario di Asti è rappresentata dal corso triennale di Scienze Infermieristiche.

Ricordo che uno degli avvenimenti dell’inizio della mia avventura politica, 3 anni fa nel settembre 2011, fu un viaggio in autobus a Torino per manifestare contro pesanti tagli alla Sanità. In quell'occasione l'allora Consigliere Brignolo affermò che a fronte di quella manovra, che a me pare meno impattante di quella attuale, l'allora Sindaco e il Presidente della Provincia di Asti avrebbero dovuto battere i pugni e rovesciare la scrivania del Presidente Regionale Cota.
Ovvio che è bene privilegiare il dialogo politico ma, qualora non si riuscissero a ottenere soddisfacenti garanzie per la salute dei nostri concittadini di cui lui stesso è garante, spero che l’attuale Sindaco e presidente della Provincia di Asti possa, come ultima ratio, tenere in debita considerazione una sorte analoga per la scrivania del Presidente Chiamparino.

lunedì 24 novembre 2014

Proclamiamo una giornata di lutto cittadino per il caso ATC


Un filo sottile lega Asti alla vicina Casale Monferrato: con la prescrizione del caso amianto e il patteggiamento del caso ATC, per ragioni e gravità certamente differenti, le due città piemontesi si trovano a condividere la netta sensazione di aver subito una colossale ingiustizia con scarse, se non nulle, possibilità di porvi rimedio.
Per quanto riguarda il caso astigiano, in particolare, i cittadini si interrogano sull'equa giustizia: vedono lentamente "morire" la convinzione di essere tutti uguali di fronte alla legge e sempre più insistentemente percepiscono differenze di giudizio e trattamento tra il "comune mortale" e il "colletto bianco" spesso impunito, specialmente se protetto da "Santi in Paradiso".
In tempi di crisi è possibile che ognuno di noi, prima o poi, si trovi in difficoltà. In questo senso non dev'essere certamente confortante veder progressivamente "mancare" la tutela e l'attenzione nei confronti delle fasce più deboli della cittadinanza: nei loro confronti, infatti, è stato possibile perpetrare reati subdoli e meschini, protratti nel tempo, con la complicità di controlli quantomeno inadeguati.
Assistiamo inoltre impotenti all'inesorabile "spegnersi" della speranza di vivere in una società meritocratica, in cui ad essere designati a ricoprire le più alte e ben retribuite cariche istituzionali siano i più bravi e onesti.
Si verifica inoltre, giorno dopo giorno, il pericoloso insinuarsi del dubbio che "non ci si guadagni" a comportarsi da bravi e onesti cittadini: lentamente "muore" così il senso civico e di appartenenza a un'unica comunità perchè tanto a pagare è sempre Pantalone.
Fortunatamente il caso ATC, a differenza di quello di Casale, non contempla morti reali ma non per questo è da sottovalutare: dopo aver posto una "pietra tombale" sull'accertamento delle ulteriori possibili responsabilità, favorisce la ben più grave e triste "dipartita", proprio nei cittadini, di tutta una serie di convinzioni e principi che potrebbero minare alla base il progresso e lo sviluppo civile e sereno della nostra città.
Ciò che deve fare il Comune di Asti non può limitarsi al mero aspetto giuridico come avvenuto con la costituzione in parte civile: nonostante la recente concessione di patteggiamento, il Comune ha il dovere civico e morale di continuare a tenere alta l'attenzione sulla vicenda ATC, sicuramente per tentare di recuperare e far investire sul territorio il considerevole maltolto, ma ancor di più per contribuire a ripristinare il corretto rapporto tra cittadini e istituzioni che via, via va deteriorandosi.
Per questo motivo invito il Sindaco, in maniera provocatoria, a proclamare una giornata di lutto cittadino in virtù della "morte" della normale sensazione di giustizia e garanzia che ogni cittadino astigiano dovrebbe, come suo diritto, percepire.

mercoledì 12 novembre 2014

L'importante è che non sia CoCoCo-working


Dopo lo tsunami sociale generato dalla crisi economica, pensare che i posti di lavoro repentinamente persi in questi anni possano ritornare dov’erano nel periodo pre-crisi, secondo me, è illusorio: so che dovrei cercare di essere ottimista ma proprio non riesco a immaginare un fattore scatenante tale per cui, a un certo punto, i grandi colossi economici nazionali come Finmeccanica, Telecom, le banche, le Poste o lo stesso Stato tornino ad eseguire assunzioni di massa.

Quindi se negli ultimi anni, come tutti sappiamo, abbiamo assistito a mutazioni socio-economiche causate dalla crisi (che qualche interrogativo dovrebbero suscitarci circa la bontà o meno di un modello di sviluppo basato su un capitalismo finanziario globalizzato), negli ultimi 20 anni abbiamo contemporaneamente assistito ad una trasformazione della società dovuta sostanzialmente all'espansione rapidissima delle reti della conoscenza e delle reti tecnologiche. Queste hanno fatto sì che nascessero tantissime nuove tipologie di lavoro che, almeno in Italia e secondo il mio parere, sono state spesso e volentieri snobbate o quantomeno mal governate (e qui faccio un po’ di sana autocritica dicendo che noi del Pd dovremmo forse badare più a riconoscere, snellire e promuovere a livello normativo queste nuove forme di lavoro anziché concentrarci troppo sulle modifiche all’articolo 18).

Quello che di nuovo però sta succedendo nel mondo del lavoro è una nuova organizzazione e soprattutto un nuovo approccio mentale anche al lavoro legato alla “vecchia economia” che consiste non più nell'attesa o nella ricerca di un lavoro ma spesso nella creazione autonoma di nuovo lavoro.

Nel 2005 un ragazzo di San Francisco decise, per la prima volta, di affittare il suo posto di lavoro ad altri che avevano la sua stessa passione: nacque così il coworking. Abbiamo alcuni importanti esempi di successo anche molto vicino a noi, a Torino:

TOOLBOX si basa prevalentemente su progetti legati alla “new economy” e ha sede in una vecchia fabbrica di alluminio che è diventata uno spazio in cui convivono 150 persone che condividono strumenti, idee, progetti e clienti.
FABLAB che riprende invece il concetto del coworking calzato sulla vecchia economia e in particolare sul mondo dell'artigianato.

In questi posti, spesso, anche progetti complessi hanno la possibilità di giungere in porto perché a fianco a te ci sono persone con competenze diverse ma complementari alle tue e che condividono il tuo stesso stile di vita. Il coworking non è infatti solo una maniera di avere un ufficio affittando una scrivania, ma è condividere il tuo lavoro con persone che hanno la tua stessa visione del mondo, condividono la tua voglia di cambiarlo e condividono la tua voglia imprenditoriale.

Lo dico strizzando l’occhio al M5S che da sempre è sensibile al tema e con il quale solo adesso scopriamo di poter dialogare costruttivamente: se ci pensate bene, tale tipo di approccio innovativo al lavoro deriva dalle logiche della rete: gli individui abituati a lavorare in rete hanno una mentalità più collaborativa. La cultura della rete è un modello che parla di apertura, collaborazione, partecipazione e questa cosa si riflette anche nel modo di lavorare che adotta il concetto di condivisione come imperativo per reinventare il lavoro che non c'è più. Modo di lavorare che si sposa, come abbiamo detto, anche con l’azienda tradizionale perché ne moltiplica i contatti, le relazioni e di conseguenza anche le relazioni di tipo progettuale e produttivo.

Quindi, in ultima analisi, non si cerca più un posto di lavoro in senso stretto: quando parliamo di "posto di lavoro" ci riferiamo a un posto fisico in cui recarsi tutti i giorni e rincasare tutti i giorni. I nostri concittadini astigiani, in questo momento, non cercano un “posto di lavoro”: cercano un “lavoro” e, a fronte di quello, cercano un posto in cui stare per lavorare. E’ una questione di scelta che rende secondario il “posto di lavoro” rispetto al “lavoro” stesso. Io mi auguro che noi del Pd, nel concedere al lavoratore astigiano questa possibilità di scegliere dove svolgere il suo mestiere, possiamo manifestare la stessa sensibilità che abbiamo quando vorremmo concedere al lavoratore italiano la possibilità di scegliere se usufruire mensilmente della sua quota di TFR.

Per quel che mi riguarda, quindi, l’Assessore alle attività produttive e al lavoro ha la mia piena fiducia ed esortazione nel tentare di individuare, attrezzare e promuovere, nella nostra città, uno spazio in cui valorizzare questa nuova concezione del lavoro che traduce in termini nuovi quelle che un tempo erano la saggezza, la forza e la bellezza e che noi oggi attualizzeremmo con l’intuizione, la tecnologia e il design.

giovedì 23 ottobre 2014

Parcheggio... Da Possibile a Fatto!


Qualche tempo fa, sollecitati da alcuni cittadini, c'eravamo recati al Circolo Santa Maria Nuova sito in Via Arò per incontrare i suoi soci, gestori e frequentatori.

Considerate le serie difficoltà di deambulazione di alcuni di essi, in possesso persino dei requisiti per il posteggio riservato ai diversamente abili, abbiamo ascoltato le loro necessità finalizzate alla creazione di almeno uno stallo giallo in prossimità dell'ingresso del circolo stesso.

Le sollecitazioni dei cittadini hanno trovato adeguata attenzione da parte di tutta l'Amministrazione e dopo esserci attivati coi vari canali a disposizione, abbiamo finalmente posto rimedio alla situazione.